Back To Top

foto1 foto2 foto3 foto4 foto5
123
123
123
123
123

Benvenuto

djMi chiamo Saveria e, da qualche anno, allevo con entusiasmo Barbute Belghe, in particolare Barbute di Anversa, che sono in assoluto le mie preferite. Il mio allevamento si trova in una zona collinare abbastanza isolata, il che, se non mi ha propriamente facilitato a causa della presenza di numerosi predatori nella boscaglia circostante, mi ha permesso di evitare - almeno sino ad ora - quei contrasti con il vicinato che, ahimé, sono una delle più...

Telefono: 0039 320 5786546

e-mail: ilsognodellabarbuta@gmail.com

Get Adobe Flash player

Traduttore

1416237
Oggi
Ieri
Settimana
Totale
2944
713
10015
1416237

Il tuo IP: 3.15.29.73
2024-07-27 12:15

Valutazione attuale: 5 / 5

Stella attivaStella attivaStella attivaStella attivaStella attiva
 

COCCIDIOSI

 

E’ indubbio che questa sia tra le malattie più importanti con la quale l’allevatore amatoriale può avere l’avventura di doversi scontrare.

Essa é provocata da protozoi, microorganismi unicellulari di dimensioni microscopiche non visibili ad occhio nudo, che vivono e si moltiplicano all’interno delle cellule epiteliali dell’intestino dei nostri animal;  la loro azione patogena più importante, è di tipo traumatico, con distruzione delle cellule della mucosa intestinale e conseguente infiammazione della stessa.

Come preannunciato, è purtroppo proprio nei piccoli allevamenti rurali ed amatoriali che questa infezione suole presentarsi con maggiore frequenza e con esiti spesso infausti; i motivi sono svariati ma prevalentemente riconducibili all’abituale sovraffollamento (soprattutto gli allevatori amatoriali tendono a riprodurre un gran numero di soggetti per portare avanti le loro selezioni), alle carenti condizioni igienico/sanitarie in cui gli animali vengono tenuti ed, infine, alla rilevante difficoltà di sanificare efficacemente e radicalmente ambienti non realizzati per esserlo.

Spesso, gli allevatori amatoriali prediligono l’allevamento “a terra” o ricorrono comunque all’uso di lettiere nei ricoveri, facendo spesso cobitare al loro interno soggetti più giovani e soggetti già adulti: ebbene tutte queste metodologie di gestione, rendono praticamente impossibile attuare puntualmente, non solo la dovuta prevenzione in riferimento a questa problematica ma anche e soprattutto, quelle pratiche di disinfezione normalmente poste in essere negli allevamenti intensivi alla fine di ogni ciclo produttivo.

Ma conosciamo più da vicino il nostro “nemico”: vengono definiti “ coccidi “,  i microrganismi appartenenti ai generi Eimeria e Isospora. I volatili domestici sono interessati solo da coccidi appartenenti al genere “Eimeria”, mentre quelli del genere “Isospora” si ritrovano generalmente nei volatili selvatici oltre che in numerose altre specie animali (ad esempio cani e gatti).

I polli possono essere infettati da nove specie diverse di Eimeria: esse, in ordine decrescente di patogenicità (senza peraltro valore assoluto) sono : Eimeria tenella, Eimeria brunetti, Eimeria acervulina, Eimeria mivati, Eimeria maxima, Eimeria hagani, Eimeria praecox, Eimeria mitis.

Questi protozoi, hanno la caratteristica di essere parassiti obbligati specie/specifici, nel senso che essi debbono trascorrere tutto il loro ciclo vitale a spese di un animale ospite e possono riprodursi  all’interno di quella sola specie (i coccidi del cane infestano i cani, quelli del gatto solo i gatti, quelli del pollo, il pollo e così via ); da ciò deriva che, nelle forme che interessano i nostri animali, volatili o mammiferi che siano, questa malattia non è trasmissibile all’uomo.

Le varie specie di Eimeria, possono essere differenziate nel corso dell’accertamento diagnostico attraverso la morfologia, la localizzazione intestinale e la patogenicità con conseguenti lesioni caratteristiche a livello intestinale e tipo di diarrea, con o senza sangue.

La parete esterna delle forme esogene di questi parassiti, gli oocisti, è in grado di conferire loro una notevole resistenza nell’ambiente esterno: esse sono scarsamente sensibili sia agli agenti atmosferici, sia ai comuni disinfettanti per cui, eradicare un’infezione dal proprio allevamento una volta manifestatasi. si prospetta operazione se non impossibile, tutt’altro che facile.

Come si diceva gli oocisti, sono scarsamente sensibili al freddo (basse temperature tendono a favorirne la conservazione) e non vengono distrutti dalla candeggina, largamente utilizzata dagli allevatori per la disinfezione degli ambienti perché economica e di facile impiego; essi sono invece sensibili alla luce solare diretta, all’essiccamento, ai solventi lipidici - ad esempio alcool – ed al vapore. Volendo sanificare il proprio pollaio da questi parassiti, la cosa migliore e più sicura da fare dopo aver rimosso l’eventuale lettiera e raschiato le deiezioni dalle superfici, è dunque quella di munirsi di un vaporetto ed ultimare con quello la pulizia. Una valida alternativa può essere passare le superfici con una fiamma (magari utilizzando un cannello collegato ad una bombola di gas)

Per evitare l’insorgenza di questa problematica purtroppo non è sufficiente il sistematico e puntuale controllo delle condizioni igienico ambientali; difatti, nel caso in cui in allevamento o negli ambienti destinati al ricovero dei soggetti più giovani si verifichino eccesso di umidità, insufficiente ricambio di aria, sovraffollamento, riutilizzo improprio della vecchia lettiera o trascurato rinnovo della stessa, squilibri alimentari (dovuti, ad esempio, all’impossibilità di libero pascolo su tappeto erboso o all’impiego di mangimi di scarsa qualità e/o alla mancata somministrazione di integratori vitaminici e minerali), è comunque piuttosto probabile che, presto o tardi, i giovani vengano interessati da episodi acuti di coccidiosi.

A questo proposito, il rapporto tra ospite e coccidi può essere di due tipi:

- Forma subclinica (la maggior parte dei casi): in questo caso i coccidi si nutrono e si riproducono a spese dell’animale che infestano senza tuttavia causargli danno apparente. Il soggetto “portatore” si presenta pertanto in buona salute, non accusa disturbi, svolge una vita perfettamente normale, diffondendo però le uova dei parassiti con le proprie feci.

- Forma clinica: in questo caso l’infestazione provoca enterite (infiammazione dell’intestino) dal corredo sintomatologico e dal decorso più o meno grave.

La forma clinica, e dunque la vera e propria malattia, si manifesta soprattutto in animali giovani recettivi; gli adulti godono invece di una resistenza naturale e/o acquisita e, pur non presentando normalmente danni, permettono la moltiplicazione di questi protozoi rappresentando perciò un grosso rischio epidemiologico in quanto “serbatoi d’infezione” .

I sintomi principali della malattia sono dovuti all’azione traumatica a livello della mucosa intestinale: gli animali colpiti presentano normalmente aspetto arruffato ed aspetto “a palla”, piume sporche ed ali cadenti, occhi chiusi o socchiusi in un’espressione sofferente, generale abbattimento, inappetenza e comunque disoressia (alterazione del senso dell’appetito), propensione a bere notevoli quantità di acqua (disidratazione), diarrea con muco, spesso emorragica, ipotermia particolarmente marcata a livello degli arti inferiori ed anemia. Nei casi più gravi, possono comparire sintomi nervosi (improvvisi, immotivati ed inconsulti movimenti del capo, tremori alle ali, barcollamento, paralisi degli arti inferiori), congiuntiviti, scolo nasale dovuto a infezioni secondarie. Anche nel caso in cui l’infezione si risolva positivamente, gli esemplari colpiti presenteranno notevole dimagramento e ritardi nell’accrescimento dovuti al malassorbimento intestinale o al prolungato digiuno, talvolta sfocianti in un aspetto rachitico (testa grossa e corpo non proporzionato). Anche nei casid’infezione leggera, le lesioni intestinali sono suscettibili di lasciare spesso la porta aperta ad altre infezioni microbiche secondarie che possono condurre ad un ulteriore peggioramento della salute del soggetto colpito.

(Feci di soggetti ammalati)

Riguardo al ciclo riproduttivo dei coccidi, esso è piuttosto complesso da descrivere nei dettagli; per semplificare al massimo: un animale infestato emette con le feci le “uova” dei coccidi, gli oocisti.

(foto estratta da Summagallicana)

Dopo un periodo di tempo che varia da qualche ora a qualche giorno”, nelle giuste condizioni ambientali, le oocisti sporulano (maturano), cioè al loro interno si sviluppano delle formazioni che si chiamano sporocisti e che contengono le forme infestanti: gli sporozoiti.  Le oocisti sporulate vengono poi ingerite da un’altro ospite o direttamente dall’ambiente esterno o, in alcuni casi tramite alcuni roditori che fungono da “portatori” (ospiti paratenici). Una volta ingeriti dall’ospite definitivo, i coccidi colonizzano le cellule della mucosa intestinale e lì iniziano a riprodursi.

Nella sede intestinale, in una prima fase (detta fase asessuata) i coccidi si moltiplicano smodatamente all’interno delle cellule in cui sono penetrati: in pratica in una cellula entra un parassita, questo si moltiplica generando decine di individui finché questi non rompono la cellula ospite e si spargono per l’intestino penetrando in altre cellule e ripetendo il ciclo. E’ proprio in questo frangente che i coccidi, distruggendo le cellule dell’intestino per riprodursi, provocano rilevanti danni all’ospite”.

Il danno può rimanere limitato solamente se tra il sistema immunitario dell’ospite e la capacità di riprodursi dei coccidi, si instauri un equilibrio (come avviene nella generalità dei soggetti oramai adulti): in questo caso l’ospite non accusa fastidi. Se, viceversa, i coccidi si riproducono smisuratamente (come nel caso di soggetti debilitati, o con altre patologie intercorrenti, o deficit del sistema immunitario), il danno diventa importante ed in molti casi anche letale.

Dopo la moltiplicazione, in risposta a stimoli non ancora ben chiari, alcuni coccidi si trasformano in gameti maschili e femminili e, fondendosi tra loro, danno origine alle oocisti che vengono poi espulse con le feci. Questa è la fase sessuata del ciclo”, che così ricomincia .

Le condizioni ambientali (quindi il livello di  ossigenazione, l’umidità, le temperature e la luce) come già anticipato, hanno una grande importanza nel favorire la maturazione dell’oocista o sporulazione, senza la quale le oocisti espulse con le feci non hanno capacità infettante. I fattori ottimali sono:

  1. Temperatura 25 – 27 °C
  2. Umidità 95%
  3. Ossigenazione maggiore sulla superficie del terreno o della lettiera e non all’interno.

Ricorrendo le predette condizioni, lo sviluppo del parassita si può avere in 2 – 5 giorni.

Se i valori di umidità e temperatura si discostano invece dai predetti parametri, le oocisti non perdono certo la possibilità di maturare: a cambiare sono solo i tempi di maturazione, che possono allungarsi di parecchi giorni.

La prevenzione ed il controllo della coccidiosi nel proprio allevamento dovrà avvenire in definitiva tramite l’adozione di criteri gestionali che da un lato non comportino l’avverarsi delle predette condizioni ottimali di maturazione e dall’altro - in caso di infestazione conclamata – tramite l’utilizzo tempestivo di principi attivi “curativi” che dovranno essere prescritti dal proprio veterinario di fiducia dopo la diagnosi conseguente ad un’analisi delle feci e/o ad una necroscopia sui deceduti.

Gli anticoccidici, sono sostanzialmente di due tipi: coccidiostatici, sostanze, cioè, in grado di interferire con il metabolismo del parassita bloccandone lo sviluppo ad un determinato stadio, ed coccidicidi, sostanze, viceversa, in grado di uccidere direttamente il parassita;

Negli allevamenti amatoriali, come tali svincolati dalle esigenze di rendimento della produzione tipiche degli allevamenti professionali di animali “da consumo”, sarebbe auspicabile puntare maggiormente sulla profilassi, limitando l’utilizzo degli anticoccidici  solamente in caso di effettiva necessità e comunque sempre sotto controllo del veterinario: il rischio insito nell’utilizzo indiscriminato, preventivo e comunque fatto “a casaccio” di mangimi addizionati con coccidiostatici e di coccidicidi (tipo il toltrazuril), è difatti molto elevato e consiste nella possibilità che si sviluppino progressive resistenze dei parassiti ai principi attivi impiegati, con conseguente necessità di cambiare molecola, associare diverse sostanze anticoccidiche a meccanismo di azione differente in un unico trattamento oppure aumentare di molto i dosaggi; sotto quest’ultimo profilo é bene evidenziare che tutti i prodotti terapeutici sopramenzionati sono tendenzialmente tossici per l’animale trattato e che, mentre i parassiti grazie ai loro cicli vitali relativamente brevi, sono in grado di adattarsi a “mutate condizioni” in tempi ristretti, analoga tempestività non è rinvenibile nell’ambito degli organismi ospiti che dunque rimarranno notevolmente pregiudicati dalla somministrazione di questi principi attivi in dosi molto elevate.

Proprio al fine di scongiurate episodi di intossicazione e/o di resistenza, in caso di infezione, la procedura ottimale sarebbe quella di somministrare il curativo individualmente, capo per capo, nelle dosi raccomandate dal veterinario, evitando per quanto possibile di ricorrere alla terapia di massa. Quando l’intervento terapeutico si svolge in quest’ultima direzione, con somministrazione dei principi attivi nel mangime o nell’acqua di bevanda, c’è difatti il rischio che gli animali che si alimentano o bevono di più possano intossicarsi mentre quelli che, al contrario, mangiano o bevono poco, non assumano il farmaco nelle quantità utili , non eliminino il parassita e rendano così inutile la terapia, contribuendo alla diffusione di elementi resistenti in grado di trasmettere ai propri discendenti tale qualità.

La somministrazione degli anticoccidici nella forma acuta della coccidiosi non dovrebbe esaurire la terapia: la diarrea e la conseguente disidratazione, renderebbero difatti opportuna la somministrazione di sostanze vitaminiche ed antiemorragiche (vitamina K, ad esempio Konakion) nell’acqua di bevanda e di sostanze comunque in grado di ripristinare l’equilibrio minerale e la flora batterica intestinale dell’animale colpito. Vista poi la probabile insorgenza di infezioni batteriche secondarie, enteriche e non, potrebbe essere anche utile l’adozione di una terapia antibatterica ad ampio spettro (che, però, solo il veterinario può consigliare!).
Alcuni sostengono che possa essere molto utile somministrare dei probiotici (*) (ad esempio il  VSL#3) sia in via preventiva (senza però con ciò aspettarsi di risolvere il problema) che successivamente ad un'infezione.

Dato che uno dei principali sintomi della malattia è l’inappetenza, gli animali interessati dalla patologia che non provvedono a nutrirsi spontaneamente, andrebbero in qualche modo sostentati, soprattutto se giovani, e questo prima che si abbattano troppo, altrimenti è probabile che essi muoiano d’inedia prima che li uccida la coccidiosi. E’ importante somministrare un alimento facilmente digeribile e ricco di zuccheri, in modo da evitare che la glicemia si abbassi troppo a causa del prolungato digiuno. Io ho usato con buoni risultati il miele, somministrandone piccole quantità ad intervalli regolari nel corso della giornata. Unica attenzione, curare che sia molto liquido, dato che la sua naturale vischiosità potrebbe creare problemi a soggetti molto deboli in fase di deglutizione. 

Su animali comunque non eccessivamente debilitati dalla malattia, a volte ho impiegato con buoni risultati anche della pappa per l’imbecco dei piccoli di pappagallo, che ha il vantaggio di essere molto nutriente, facendo anche qui attenzione a mantenere il composto molto liquido, così da aiutare l’idratazione del pulcinotto, senza andare ad appesantire eccessivamente la digestione.

 (Bibliografia:  Giampaolo Asdrubali – Patologia aviare;  Summagallicana – Dott. E. Corti;

da http://www.informacani.it/veterinaria/coccidi.htm;

da http://www.veterinario2.it/PARASSITOLOGIA%201.pdf Dott. Paolo Gandolfi);